Meloni e Al Sisi promossi, Macron rimandato: questi i "voti" di Donald Trump dopo il sigillo sull'accordo di pace su Gaza firmato dal presidente americano, dall'Egitto, dal Qatar e dalla Turchia. A novembre si terrà al Cairo una conferenza sulla ricostruzione della Striscia. Sarà quello il primo banco di prova "politico" per capire i valori in campo e la distribuzione effettiva dei ruoli da parte del pivot alla Casa Bianca che ha segnato i tempi del vertice di Sharm. La firma di ieri porta in grembo vari aspetti, non solo tecnici, della questione ma anche geopolitici e infrastrutturali. Non a caso Trump ha ammesso apertamente che "sappiamo tutti come ricostruire, e sappiamo come costruire meglio di chiunque altro al mondo". L'investitura trumpiana di Abdel Fattah al-Sisi è un elemento preciso da tenere in considerazione nell'economia complessiva dell'accordo, perché riguarda l'ambiente sociopolitico in cui il piano ha preso forma. L'uomo forte del Cairo è cerniera con una serie di mondi interconnessi e non a caso ha messo l'accento sulla soluzione dei due stati, "creando un orizzonte politico essenziale".
Secondo Trump, nei fogli siglati ieri c'è una "svolta epocale" per "un nuovo inizio per l'intero Medioriente, da questo momento in poi possiamo costruire una regione forte, stabile, prospera e unita nel respingere una volta per tutte la via del terrore". L'abbraccio con il leader palestinese Abbas ha toccato plasticamente questo aspetto. Altro elemento decisivo del piano il ruolo di Hamas, che potrà svolgere compiti di polizia nella Striscia ma solo per un periodo limitato.
In tutto ciò andrà compreso l'apporto dell'Europa, al netto della battuta riservata da Trump a Macron: "Non ci posso credere che Emmanuel non sia in piedi dietro di me ma seduto in platea. Hai scelto il profilo basso oggi?". Germania e Francia puntano sulle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, forse stizziti per l'esclusione de facto dai negoziati che hanno portato all'accordo di cessate il fuoco. Quindi chiedono un ruolo per l'Onu anche se sarebbe utile la presenza dei paesi arabi in questo senso. D'altronde era stato il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul a parlare di "prerequisito" per l'istituzione della sicurezza a Gaza a proposito di un "ruolo importante" svolto dal Palazzo di Vetro.
"La Francia è pronta e ha iniziato a pianificare", ha annunciato in pompa magna il numero uno dell'Eliseo, ma senza spiegare modi e tempi di un eventuale impegno, provando a rientrare plasticamente in una partita da cui l'Ue è stata tenuta fuori dal presidente americano, che invece ha avuto parole di miele per Giorgia Meloni (che, non a caso, potrebbe sedere nel board con Tony Blair e Al Sisi). Il tema tocca, evidentemente, anche un riequilibrio interno fra leader europei. Berlino è pronta a fare la sua parte, ha detto subito il cancelliere Friedrich Merz, soprattutto fornendo aiuti umanitari, invocando lo stesso metodo da parte degli Usa anche per la pace in Ucraina. "Così come lo hanno dimostrato in questa regione, devono dimostrarlo anche con noi in Ucraina e alla Russia".
Il ritorno degli ostaggi israeliani, secondo il presidente della commissione europea Ursula Von der Leyen, è "un momento di pura gioia per quelle famiglie e un momento di sollievo per il mondo intero", aggiungendo che si può iniziare un nuovo capitolo nel quale l'Europa sosterrà pienamente un accordo definito "una pietra miliare storica". Ha inoltre assicurato che Bruxelles contribuirà al successo del piano "con tutti gli strumenti a disposizione", indicando esplicitamente un finanziamento ad hoc per sostenere la riforma dell'Autorità palestinese e la ricostruzione di Gaza.
Il prossimo consiglio europeo del 24 ottobre ne discuterà ampiamente, al pari della richiesta egiziana ai membri: "È importante che i Paesi europei forniscano sostegno all'Egitto e alla Giordania per continuare ad addestrare le forze di polizia palestinesi a Gaza e ampliarne la portata". Un coordinamento che verosimilmente potrà contare sul contributo di 250 Carabinieri, già pronti a partire.