Dazi, attesa per l'ok di Trump. Terre rare, intesa Ue-Cina

Scritto il 25/07/2025
da Camilla Conti

Il presidente Usa non si è ancora espresso sull'ipotesi del 15%. Vertice a Pechino: primo accordo sulle materie prime strategiche

In queste ore c'è chi clicca compulsivamente sul social Truth per vedere se Donald Trump posterà uno dei suoi soliti annunci a mezzo social per confermare, o smentire, le indiscrezioni su un possibile accordo sui dazi al 15% con l'Europa. Un compromesso "alla giapponese" che costerebbe comunque quasi 23 miliardi di euro per l'export italiano negli Usa. Finora il presidente americano, cui spetta l'ultima parola su un eventuale accordo, non si è espresso. Se non per suonare il solito refrain: "Abbasseremo i dazi se l'Unione europea aprirà i suoi mercati ai nostri prodotti".

Sullo sfondo, proseguono i contatti tecnici e politici tra Bruxelles e Washington. "Crediamo che il risultato sia a portata di mano", ha sottolineato ieri il portavoce della Commissione europea, Olof Gill, durante il briefing con la stampa, tornando però a ribadire che, nel caso non si trovasse l'accordo, la Ue resta pronta ad attivare le sue "contromisure". A volte "i contatti avvengono tramite telefono, altre volte di persona. Al momento non ci sono incontri di persona da segnalare, ma la situazione potrebbe cambiare molto rapidamente", ha evidenziato il portavoce. Oltre a un primo pacchetto di ritorsioni del valore di 93 miliardi da far scattare in assenza di un accordo il 7 agosto, Bruxelles sta già valutando una nuova tornata di misure contro gli Stati Uniti che colpirebbero anche il settore dei servizi. Lo strumento anti-coercizione sarebbe, invece, l'extrema ratio da brandire contro Washington con un'azione mirata: dall'esclusione delle imprese Usa dalle gare pubbliche alla sospensione dell'equivalenza per gli operatori finanziari, fino a una tassa sui ricavi pubblicitari delle big tech. L'esecutivo europeo avrebbe comunque bisogno del sostegno di una maggioranza qualificata dei suoi 27 paesi membri per armare il bazooka commerciale. Da Pechino, dove è volata per il summit dedicato ai 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Ue e Cina, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha rimarcato che al momento ci sono "contatti e discussioni molto intensi", sia tecnici che politici, "ma da settimane abbiamo ben chiaro il motivo per cui vogliamo una soluzione negoziata. Tutti gli altri strumenti sono sul tavolo e rimarranno tali finché non otterremo un risultato soddisfacente". Von der Leyen sempre ieri ha incontrato il leader cinese, Xi Jinping, e ha concordato un meccanismo "aggiornato" per le esportazioni cinesi di minerali di terre rare, un punto motivo di forti tensioni tra le due parti. Ma ha anche sottolineato in conferenza stampa il "crescente squilibrio" commerciale con la Cina "dovuto principalmente al crescente numero di distorsioni e alle barriere all'accesso al mercato".

Nel frattempo, secondo il Wall Street Journal, a fare pressioni sui leader europei sarebbe Bernard Arnault. Ovvero il patron del colosso del lusso Lvmh che ha trascorso le ultime settimane facendo la spola tra le capitali europee, incontrando il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro italiano Giorgia Meloni, spingendoli a raggiungere un accordo simile a quello raggiunto da Trump con il Giappone questa settimana. Monsieur Arnault avrebbe parlato anche con il presidente (era presente alla cerimonia del suo giuramento), cercando di allentare le tensioni con Bruxelles.

Ieri, intanto, le Borse europee hanno chiuso contrastate: Parigi ha lasciato sul terreno lo 0,41% e Milano lo 0,23 per cento. Positive, invece, Francoforte con un +0,26% e Londra (+0,83%).