Un accordo per un 15% di dazi sulle esportazioni è certamente meglio di tariffe al 30%, ma avrà comunque un impatto sulle aziende italiane. L'incidenza non sarà uguale per tutti. Ci sono categorie più in grado di assorbire gli aumenti sui prezzi di altri, ma è probabile che verrà erosa almeno una parte di quei 65 miliardi di euro di esportazioni sul mercato americano che l'Italia ha messo a segno nell'intero 2024. Il Centro studi di Confindustria ha stimato che l'Italia potrebbe perdere fino a 22,6 miliardi di export, circa un terzo delle vendite, in presenza di un dazio del 15 per cento. Poi senza dubbio si tratta di una stima limite, che non tiene conto del fatto che alcuni settori significativi potrebbero essere esentati in tutto in parte dall'applicazione dei balzelli trumpiani: per esempio i prodotti farmaceutici (che per l'Italia valgono oltre 10 miliardi, secondo l'Osservatorio economico InfoMercati esteri) oltre ad alcolici e aeromobili che valgono insieme alcuni miliardi.
I settori che rischiano di essere colpiti più duramente, invece, sono quelli che hanno una concorrenza più feroce sul mercato americano. Per esempio, il comparto agroalimentare che per l'Italia vale circa 5 miliardi potrebbe essere seriamente minacciato da competitor locali a basso costo, peraltro con un nome simile: si pensi al caso del Parmesan nel luogo del Parmigiano. Allo stesso modo, verrebbe colpito il settore delle automobili (che vale per l'Italia circa 4,4 miliardi), che certamente avrebbe da guadagnarci da un'aliquota al 15% rispetto a una al 25% o al 30 per cento ma sarebbe comunque penalizzata in modo non indifferente nell'ambito di un mercato competitivo come quello statunitense. In quest'ambito, comunque, potrebbero avere resilienza prodotti unici come le Ferrari, che appartengono più che altro al settore del lusso per definizione meno sensibile alle variazioni di prezzo. Analogamente, potrebbe avere qualche anticorpo in più il comparto moda, se non altro per l'elevata qualità e le caratteristiche peculiari di molti prodotti italiani in questo comparto. Il che è un bene visto che articoli di abbigliamento, in pelle e prodotti tessili valgono tutti insieme 5,5 miliardi di euro.
Potrebbe essere fortemente penalizzato, invece, il comparto, di grande valore per il Made in Italy, dei macchinari e delle apparecchiature per l'industria, che vale 12,8 miliardi e sarebbe soggetto a un'elevata concorrenza. Le imprese italiane si sono sempre segnalate per un'elevata capacità di adattamento al contesto di mercato - si pensi al difficile periodo del Covid e alla fiammata dei costi energetici post guerra russo-ucraina - ma certamente dovranno fare i conti con un calo del giro d'affari verso gli Stati Uniti. Cerved ha stimato il possibile impatto sui fatturati delle aziende italiane in vista di un'applicazione di tariffe al 15%: ebbene, il danno per le imprese italiane sarebbe di oltre 8 miliardi. Un peso non indifferente, ma che sembra ben più lieve se si pensa che senza accordo - e dunque con dazi al 30% dal primo di agosto - la maggior parte dei prodotti nazionali risulterebbe non competitiva sul mercato Usa e, venendo sostituita, porterebbe a una perdita complessiva di fatturato che potrebbe raggiungere i 15,5 miliardi di euro.